Tra i giovani autori contemporanei diventa sempre più difficile rintracciare una penna che sfugga al linguaggio standardizzato della Rete o degli altri mass media, conservando invece un vocabolario e uno stile di ascendenza genuinamente letteraria. In questo fa eccezione Diletta Pizzicori, pratese classe ’90 per la quale la scrittura è un’esigenza che è stata a lungo rimandata ma che oggi la trova giustamente impegnata a tempo pieno. O quasi, visto che negli ultimi tempi Diletta è diventata anche mamma, e ha dovuto prendere le misure di questo nuovo ruolo.
“Ho sempre scritto,” ci racconta, “però non ho mai potuto dedicarmici, perché c’era sempre altro da fare. Dopo la laurea mi sono detta che era arrivato il momento”.
Da allora, complici un’impronta da archeologa e l’attaccamento all’entroterra pratese, Pizzicori ha concepito il primo romanzo storico di una saga pubblicata da Sperling & Kupfer e di cui ormai si attende il capitolo finale.
A I nostri anni leggeri (2021) è seguito Gli anni dei ricordi (2023), entrambi ambientati nella Toscana dei primi del Novecento, sullo sfondo delle due Guerre Mondiali e all’interno di un tessuto sociale segnato da antichi retaggi.
Nella ridente Meretto, immensa proprietà di una prestigiosissima famiglia inglese, s’innamorano Primo, il giovane giardiniere al servizio dei signori, e la figlia dei padroni, Leticia. Questo amore resisterà negli anni e nonostante la distanza sociale, con esiti diversi nella vita dell’uno e dell’altra.
Intervista a Diletta Pizzicori
Diletta, da cosa nasce l’idea di una saga del genere?
“Avevo diverse idee e desideri. Intanto volevo scrivere una trilogia sul Novecento, alla maniera – mi si conceda il paragone – della Trilogia del Secolo di Ken Follett. Ma più in piccolo, perché i libri troppo estesi a parer mio scoraggiano i lettori, e anch’io mi rendo conto di apprezzare di più la brevità.
Volevo poi che fosse un romanzo di formazione nel quale seguire la crescita dei personaggi, e volevo che i personaggi fossero diversi, per realizzare un romanzo corale. Infine volevo rendere protagonista il territorio, la Toscana a cui si pensa meno, quella dei borghi aspri, dei contadini che parlavano male, per cercare di rendergli giustizia.
In questo mi ha aiutato la microstoria che ho avuto l’opportunità di studiare nel centro di documentazione in cui lavoravo. Qui ho consultato le fonti scritte e orali con cui ho costruito i miei personaggi. Personaggi che appartengono a una società frammentata, fatta ancora di padroni e servi”.
C’è anche un po’ della tua storia familiare in questo…
“I signori del romanzo, i Parker, sono frutto della mia invenzione ma fatti come con la carta carbone sugli originali Spranger dell’autentica Meretto. Con le loro nipoti ho tuttora un legame quasi di parentela, tanto che da piccola le chiamavo le mie parenti inglesi. Solo crescendo ho capito che in realtà erano le nipoti dei padroni della mia nonna e del mio nonno. Una di loro, Caroline, è la mia controparte britannica, e se io su queste vicende ho scritto due libri lei ci ha fatto la tesi”.
Quanto altro di vero c’è nei due romanzi?
“I fatti storici lo sono tutti, mentre la trama di finzione è romanzata, per quanto verosimile. La tragica vicenda della piccola Virginia, per esempio, è accaduta realmente a certi contadini di Meretto trasferitisi dal Mugello fra gli anni ’40 e ’50. Virginia era la sorellina di altri tre fratelli, e scomparve improvvisamente finché il suo corpo non fu rinvenuto in un terreno già ampiamente battuto e presidiato. Qualcuno ce l’aveva chiaramente messa in un secondo momento, ma nessuno fece indagini, la sua morte venne accettata senza cercarne il colpevole. Io, nei romanzi, provo a farlo mescolando verità e fantasia, ma le ultime ombre svaniranno solo nel terzo capitolo”.
Il terzo capitolo della ‘saga degli Anni’? In arrivo
Dunque il terzo libro è confermato?
“Ho finito di revisionarlo proprio in queste settimane, pur avendolo terminato nel 2020. Con la mia agenzia stiamo cercando un editore che lo distribuisca, e che per continuità ci auguriamo sia Sperling. Tutti e tre i romanzi, per quanto innegabilmente legati, sono comunque storie distinte e godibili singolarmente. Restano pochi nodi da sciogliere…”
Cosa dobbiamo aspettarci dal capitolo finale?
“Il terzo romanzo sarà ancora più avvincente dei precedenti. La Storia sarà ancora più protagonista, e vedremo Leticia prendere finalmente una posizione di fronte agli eventi della Seconda Guerra Mondiale. Ma si svelerà anche perché passi così tanto tempo lontana dalle figlie, e poi sapremo dov’è veramente finita Virginia”.
A quale dei tre romanzi sei più legata?
“Anche se il terzo lo trovo il più bello, quello che mi è piaciuto più scrivere è stato il secondo, perché credo di aver dato l’idea di una maturazione dei personaggi: nel loro modo di parlare, nei sentimenti che provano e nelle sfide che, in quanto adulti, devono affrontare. La struttura del racconto è più articolata e frenetica, ma voluta. Un po’ per cambiare, e un po’ anche come mio esercizio di stile. Il primo romanzo può risultare più ‘immaturo’, ma doveva raccontare la quieta estate della gioventù, dopo la quale non ci si può più permettere la stessa tranquillità e bisogna cominciare a correre”.
Le idee per nuovi romanzi
Considerato il tuo stile, per lo più classico ma mai ridondante, quali sono gli autori che ti hanno maggiormente ispirato nella scrittura?
“Un modello di scrittura e di cinismo – anche se quello a me un po’ manca – che adoro è Jane Austen, che sembra parli di pizzi e merletti ma in realtà la sua è una costante e accurata analisi della società. Poi ho un debole per gli scrittori italiani del Novecento, da Pratolini a Malaparte fino ai recenti Carmine Abate e Paolo Malaguti. Tendo a prediligere le scritture maschili, e allo stesso modo mi piace di più la costruzione narrativa di personaggi maschili”.
A questo proposito, a quale personaggio dei tuoi sei più affine?
“Non amo mettere troppo di me in quello che scrivo. Forse, però, la persona che mi somiglia di più, come approccio al caos che porta la scrittura e come attaccamento al territorio, è Fosco di Gli anni dei ricordi”.
Le scene che descrivi nei tuoi romanzi sono sempre molto puntuali e caratterizzate. Se dalla saga degli Anni dovessero trarre una versione televisiva o cinematografica, chi immagini nei panni dei protagonisti?
“In effetti quando scrivo è come se vedessi ciò che accade. Quando ho scritto la trilogia mi sono sempre immaginata Primo come un giovane Vittorio Gassman e Leticia come una Liz Taylor dai lunghi capelli. Forse ho sognato troppo in grande…”
A quali altre storie stai lavorando ora che hai concluso la saga degli Anni?
“Sto pensando ad altri romanzi storici e di formazione. In cantiere ne ho uno sulla Grande Guerra e sulla falsariga di Niente di nuovo sul fronte occidentale, e uno sulla Seconda Guerra Mondiale per il quale mi sto documentando in questi giorni”.
E come riesci a conciliare il bisogno di quiete per la scrittura con la vita da mamma?
“Non è facile, soprattutto per ritagliarsi quegli spazi che prima avevi in abbondanza e che ora invece sono assorbiti da mia figlia. Certo l’asilo aiuta! (ride, ndr) Prima scrivevo sempre, anche tutto il giorno, ed era quasi un fatto bulimico. Adesso mi sto dando ritmi più naturali, da ufficio. La mia giornata ‘da autrice’ inizia quando mio marito e mia figlia sono fuori casa, ma il mio momento preferito resta la sera, quando scrivo con un sottofondo di musica classica o anche solo il rumore dei tasti, e naturalmente il flusso a cui sempre mi abbandono”.