Questa raccolta di testimonianze e pareri mi dà l’opportunità di rivivere un pezzo di storia della mia vita, legata a un’azione legislativa che molti reputano di grande senso civile, ancor più direi di portata storica, se pensiamo al contesto e al tipo di ambiente in cui sviluppa la sua efficacia, affrontandone i problemi. Problemi che, a tutt’oggi, non possono dirsi risolti. Tutt’altro!
Un pezzo della mia vita, in cui sono venuto in contatto con un “bisogno sociale” forte, importante, spesso trascurato dalle istituzioni, non sempre sufficientemente presenti e mai abbastanza sensibili quando si tratta di sostenere persone in difficoltà, prendersene cura, e non solo dal punto di vista umano, dei più elementari bisogni, ma, nella nostra fattispecie, piuttosto sul piano giuridico.
Sin da ragazzo ho sempre avvertito una particolare sensibilità verso chi aveva problemi e necessitava di gesti di solidarietà. E posso dire di essermene, poi, occupato, in modo pregnante ed efficace, mantenendo nei miei interventi quello stesso spirito giovanile, quel desiderio di rimuovere ostacoli e barriere, quanto meno tentare, cercando di “comprendere”, innanzitutto, per poi meglio operare. Accostandomi al disagio sociale con umiltà e “spirito del fare”, e non soltanto per “condividere” la sofferenza per compassionevole “vicinanza”.
In questo spirito ho costituito cooperative sociali, case famiglia per anziani, strutture protette per persone in difficoltà, centri socio-educativi anche residenziali, occupandomi, con i miei validi collaboratori, prevalentemente di tematiche di disabilità e fragilità.
E mi permetto di ritornare sulla parola “inclusione”, perché infatti nelle nostre strutture lavorano molti ragazzi disabili ai quali siamo riusciti a garantire una
dimensione di vita non solo “normale” e dignitosa, ma anche,, in qualche modo ricca di rapporti umani e carica di gioia. Ciò che dovrebbe essere una cosa, direi, scontata, quasi un diritto, per i componenti di una comunità che accoglie e non esclude.
E così ero solito, sin da giovane, frequentare quegli ambiti laddove vi era una sorta di “raccolta” di storie di vita e di bisogni; storie di giovani e adulti che, per la loro condizione di disagio, si ritrovavano a essere assistiti in particolari strutture pubbliche, come i centri socio-educativi o i centri residenziali per disabili. (Una struttura da me creata ad Arconate, il comune in cui sono nato e dove vivo, ospita una comunità di persone diversamente abili.
Altre iniziative sono in atto, come ad esempio il progetto “Dopo di noi” in cui cerchiamo di trovare soluzioni al fatto che taluni genitori, purtroppo per la loro età avanzata, non potranno occuparsi ancora a lungo dei figli disabili. È, questo, un problema grave a cui cerchiamo di trovare, caso per caso, una soluzione). Fra l’altro sono stato anche insegnante di sostegno. Ebbene, proprio quella esperienza ancora di più ha consolidato questa innata sensibilità (e il desiderio di rendermi utile) verso il mondo della disabilità, un mondo poco noto alla maggior parte delle persone, e spesso, volontariamente e colpevolmente negletto dalle istituzioni.
Fui un insegnante di sostegno, devo dire, fuori dai canoni tradizionali: portavo i miei alunni a visitare i monumenti; addirittura ho accompagnato un ragazzo non vedente in montagna sulla neve trasformandolo in un bravo sciatore. Non so se la gioia che ho dato a lui sia paragonabile all’arricchimento che lui ha dato a me leggendo sul suo viso la felicità nel sentirsi “vivo” sugli sci.
Un’attenzione, la mia, per la disabilità, dicevo “sentita”, che ho abbracciato come un destino, sino a farne la mission della mia vita; per me era (ed è) una sorta di saldo ancoraggio agli aspetti reali di una comunità concreta, che io vedo fatta non solo di interessi e di affetti, ma anche e soprattutto, appunto, di attenzione ai più deboli, ai “fragili” (come vengono indicati adesso con un termine oggi comune); quelle persone, per certi aspetti “meno fortunate” che si ritrovano a percorrere il cammino della vita partendo con un evidente svantaggio, o addirittura costretti a guardare dalla finestra l’avvicendarsi delle stagioni o, seduti su una carrozzina, inseguire con lo sguardo gli altri che corrono per le vie del mondo.
E, tuttavia, costoro, i “fragili” non mancano, anzi sono portatori privilegiati, di una umanità che nasce e traspare dal loro eccesso di sensibilità; ne sono testimoni inconsapevoli, portatori di qualità rare, come la forza dell’accettazione del loro stato di disagio, il senso della rassegnazione e la ricerca, comunque, di una possibile dimensione di vita.
In questa attitudine, queste “anime”, i fragili, diventano maestri di pazienza, di coraggio, di perseveranza nella voglia di vivere, dando quotidiane lezioni di speranza e fiducia nella meraviglia del creato di cui essi riescono a sentirsi, e lo sono, parte attiva a tutto tondo.
Sembrerebbe, dato il mio impegno nel sociale, più che normale che io venissi in contatto con quella che poi è diventata la legge 6/2004, eppure fu una mera coincidenza, direi quasi uno scherzo del destino.
Era il periodo in cui fui eletto per la prima volta al Parlamento Europeo, e spesso mi recavo a Busto Garolfo, dove, avendo partecipato a un bando dell’ASL di zona, la cooperativa Sodalitas, da me fondata, aveva vinto un bando per la gestione di un centro socio educativo, e lì, le famiglie dei ragazzi, ogni anno, la prima domenica di luglio, organizzavano una grigliata alla quale ero solito partecipare.
Era il 2003, quel pomeriggio, dopo aver pranzato con tutti i componenti del centro e le loro famiglie, una signora (Nina, zia di Giorgio, uno dei ragazzi disabili), dunque, questa signora, mentre stavo per uscire mi fermò: “Onorevole, questi ragazzi hanno bisogno di un grande favore!”.
Così dicendo mi mise in mano un bigliettino; lo presi, lo infilai nella tasca della giacca, rassicurando la signora che una volta a casa l’avrei sicuramente letto.
Una volta a casa, lessi il biglietto: c’era il titolo di una legge riferita all’amministratore di sostegno, depositata da tanti anni nel Parlamento italiano (appresi, poi, che la proposta di legge era stata redatta ben 18 anni prima!)
Neanche a farlo apposta, in quell’anno ero stato nominato dal Parlamento europeo relatore per l’Anno europeo della disabilità. Ma questa storia dell’amministratore di sostegno, lo ammetto, mi coglieva di sorpresa; tuttavia non ci misi molto a rendermi conto dell’estrema importanza della proposta.
Fino a quel momento, in merito alle persone che si trovavano nell’impossibilità di provvedere autonomamente a se stessi, per agevolare coloro che se ne occupavano e sveltire le loro azioni, specialmente relative alle incombenze burocratiche, insomma: queste persone definite “disabili” venivano, di prassi, “interdette”. Quindi perdevano di fatto, e in modo definitivo, ogni facoltà di determinare qualunque cosa riguardasse la gestione non solo dei loro beni, ma addirittura anche della loro stessa vita; venendo privati di tutti i diritti civili ed esistenziali, anche minimi.
La persona con disabilità con l’istituto della interdizione diventava alla stregua di una persona che non ha più la facoltà di intendere e di volere, restando alla totale mercé di colui che si assumeva l’incarico di provvedere alle sue esigenze e di amministrare i suoi proventi.
Questa cosa mi colpì molto lasciandomi una profonda amarezza. Presi la faccenda a cuore e decisi di impegnarmi per trovare una soluzione che, in fondo, non poteva che essere in quella proposta di legge.
Siccome in quell’anno il Parlamento Europeo aveva chiesto a tutti gli Stati membri di mettere in campo un’azione importante a favore del tema della disabilità, si presentava una buona opportunità per l’Italia. Mi misi in contatto con l’onorevole Pecorella, alla Camera dei Deputati in Italia, che era presidente della Commissione Giustizia, mentre al Senato conferii direttamente col presidente Pera, pregandoli affinché mi dessero una mano.
Ormai mancavano solo 6 mesi alla chiusura del 2003, anno europeo della disabilità. Così chiesi ai due parlamentari italiani di far sì che quella legge di grande civiltà, la cui bozza giaceva da tanti anni nei cassetti del Parlamento italiano, e appena calendarizzata, venisse approvata possibilmente entro l’anno in corso.
Devo dire che si avviarono sei mesi intensissimi di rapporti, di discussioni, di dibattiti e così, grazie al grande aiuto che mi arrivò da questi parlamentari, dalle commissioni e anche da altri ancora, arrivammo a far approvare la legge prima alla Camera e poi al Senato, dove fu votata e definitivamente approvata il 22 dicembre 2003 e, quindi, promulgata a inizio gennaio dell’anno successivo; per cui la legge sull’amministratore di sostegno di fatto ottenne il consenso entro l’anno 2003 (anno europeo della disabilità), anche se porta il numero 6/2004. Fu un vero regalo di Natale!
Che dire? Grazie a questa legge chi non è affetto da gravi e invalidanti patologie che ne compromettano davvero, e in modo irreversibile, la capacità di intendere e di volere, non è più a rischio di interdizione. Un istituto, quello dell’interdizione che, con un ulteriore balzo di civiltà, mi auguro venga eliminato per sempre.
Sono passati venti anni, la legge 6/2004 ha mostrato i suoi benefici, diventando un istituto ormai fondamentale nella gestione di portatori di disabilità, al punto che sono centinaia di migliaia le persone che ne usufruiscono e, mi dicono, l’esigenza di amministratori di sostegno diventa sempre più crescente: a quanto pare servirebbero almeno il doppio degli attuali.
La legge, come tutte le leggi, presenta anche lati di debolezza, aspetti di perfettibilità, e io spero che il Parlamento italiano, ancora una volta, ascolti i richiami e le proposte; che i nuovi legislatori sappiano perfezionare, adeguando ai tempi, venendo incontro ai bisogni dei più fragili.
Ed è in questa direzione, e con questo auspicio, che nasce questo libro, nel quale troverete il parere di esperti, da cui possono trarsi riflessioni e suggerimenti, critiche e proposte. Avrete modo di prenderne atto leggendo queste pagine, e se fortunatamente non siete, in qualche modo, venuti direttamente a contatto con le problematiche che la legge 6/2004 affronta, scoprirete, comunque, un mondo attorno a voi, fatto di sofferenza, di esigenze, di casi umani, di impegno solidale, a cui vi prego di accostarvi col cuore.
La legge 6/2004 non porta il nome Mantovani, e purtuttavia mi sento come se ne fossi il padre putativo, perché sono certo che, senza un vero e sentito impegno, quella bozza di legge del prof. Cendon, sarebbe forse rimasta per chissà quanti anni ancora dimenticata.
Ringrazio di cuore, quindi, quanti hanno contribuito alla stesura di questo testo, le prestigiose firme che troverete rappresentano non solo persone con responsabilità giuridiche, ma che sono, esse stesse, portatrici di una solidarietà disinteressata, quella solidarietà che fa davvero la differenza…
Coloro che sanno accostarsi ai più deboli e bisognosi di sostegno, con passione e spirito di condivisione, uomini e donne, sono esseri umani che ritengo “speciali”, perché sanno elevarsi dalla superficialità banale dell’immanente per avvicinarsi, in qualche modo, alla forma più sublime di spiritualità.
da Vent’anni di civiltà di Mario Mantovani